agosto 17, 2007

La gita all'isola


Finalmente il giorno libero e allora son uscita dalla prigione dorata. Mi sento sempre fuori luogo. Meglio mi sembra di avere la saudade: quel senso sottile di nostalgia e di non appartenenza a nessun luogo. Neanche al proprio, se mai ci sono luoghi interiori propri. Volevo andare all'isola Elephanta (si chiama cosi' non perche' ci sia l'elefante) dove ci sono le grotte con dentro delle bellissime statue induiste. Giunta all'imbarco mi hanno assalito mille indiani che proponevano mille articoli senza senso e sono giunta al battello, dopo aver acquistato il biglietto. 250 Rupie. Per gli indiani 50 rupie.
Ora la gita all'isola: salita sul battello il mare era grosso, soffiava un sacco di vento e il traghetto anni '20 rollava che non sto a raccontare. Sulla barca straripante di donne coloratissime e cicciotte (che tutte ste fighe indiane in giro io mica ancora le ho viste, sono tutte molto curate, carine, e cicciottelle, in Asia magro fa povero e miseria. Magro e' brutto e difatti il magro qui e' denutrito e basta. Il ciccio fa benestante. Il Buddha e tutte le statue induiste son cicciottelle mica stanno anoressiche!) e di alcuni fragili esempi razziali di bianchi sfigati (tra cui mi ci metto anch'io) hanno attaccato una musica assordante, che agli indiani la musica piace sempre e a tutto volume. Un popolo di canterini e ballerini. Cantano e ballano sempre (anche sul lavoro, dondolano la testa, sorridono, appaiono di un'incoscienza infantile da seria vergogna). Siamo scesi dopo un'iterminabile viaggio in cui il traghetto pareva dovesse affondare da un momento all'altro sull'isola.
Due donne freak si sono avvicinate chiedendo rupie per farsi fotografare. C'era un trenino fatiscente su cui sono inconsultamente salita che mi ha trasportato sferragliando rumori assordanti fin sotto le pendici della collinetta su cui una ripida scalinata invitava a salire alle grotte. Tutta la scalinata era colma di venditori ambulanti che vendevano la qualsiasi di oggettame. Sono stata circondata per un breve tratto da piccole scimmiette, che a dirla tutta m'hanno fatto abbastanza schifo. Uno dice "carine le scimmiette!!" nonono erano zozze, piene di pulci, spelacchiate, urlanti e orrende. Giunta sudata,bagnata e bestemmiante (che la scalinata pareva non dovesse mai finire e stava scrosciando anche il pratico acquazzone monsonico) ho pagato il biglietto per entrare nella grotta. 200 Rupie. Per gli indiani 5 rupie.
Ora sta cosa che se sei bianco straniero, turista e similia ti fanno pagare un cifrone mentre all'indiano no, a me pare un po' una vaccata. Il prezzo non e' politico. A me pelano, agli indiani chiedono la miseria, ma io sono emigrante qui! Mica faccio la figa nell'ashram meditativo.
La grotta? Bellissima. Niente da eccepire. Ci stavano Shiva e le sue tre emazioni, la coppia Shiva-Parvati che si sposano e ballano (che qui danzano sempre, credo di averlo gia' detto) poi un sacco di altre statue scolpite nella roccia. Tutto buio e scuro, antico. Quasi che le paurose tenebre stiano sempre al margine della luce e della gioia.
Sono uscita e mi sono incamminata lungo un sentierino che portava ad altre grotte e le ho trovate. Tutte vuote. Sono stata fulminata dalla visione ad una visita al British Museum a Londra e ho capito dove erano finite tutte le statue belle e antiche. Inutile venire all'isola. Si va dritti a Londra perche' il meglio l'han preso loro.
E mi sono ricordata del film e del libro "Passaggio in India". Che se non avete letto vi prego di leggere e di vedere. Sono uscita e mi sono comprata la statuina di Ganesh e di Shiva e le tre emanazioni bellebelle e ho contrattato sul prezzo che tanto mi hanno ciullato istess (sempre per il solito discorso che' quello che chiedono a me e' sempre centuplicato rispetto a quello che chiedono al compatriota). Donato i miei denari, sono scesa e son stata di nuovo circondata dalle scimmie urlatrici (brutte e schifose) e mi sono fatta il molo a piedi che non avevo cuore di salire sull'orrido e rumorosissimo trenino. L'acquazzone era terminato e spirava un forte vento. Sono risalita sul traghetto. Il viaggio di ritorno e' stato infernale uguale, ma ero contenta seppur stanca. E all'isola Elephanta val la pena di farci un salto. Mica per dire. Sul serio.

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agosto 15, 2007

Esser grandi uomini non vuol dire essere grandi genitori



Oggi 15 agosto ricorre l'anniversario dell'indipendenza indiana. E sono sessantanni che l'India e' diventata una nazione. Gli indiani hanno la certezza che la loro nazione sia ricca. Ed e' vero. L'India ricordiamocelo e' stata sempre ricca, la spoliazione delle risorse e' avvenuta con il colonialismo. Lentamente stanno risorgendo dalle ceneri. Un po' come l'araba fenice.
E' stato il 15 agosto che Ghandi mise freno ai disordini scoppiati tra la comunita' musulmana e quella induista. Furono giorni pieni di sangue e uccisioni. Il Mahatma prego' e fece lo sciopero della fame e riusci' a far cessare il fuoco.
Ho ascoltato oggi in mensa mentre si mangiava tutti assieme Lata Mangeshkar, la piu' famosa cantante indiana, un mito nazionale. Durante la guerra Indo-cinese canto' una canzone che tutti gli indiani conoscono. Nehru il padre politico dell'India quando la senti' pianse perche' la canzone era intrisa di doloroso ricordo per i propri caduti alle frontiere, sui monti piu' alti del mondo. E quest'anno questa canzone l'ho ascoltata ovunque. E la sapevano tutti e la gorgheggiavano tutti.
Sono riuscita a vedere un film appena uscito nelle sale: Gandhi, mio padre. Il figlio maggiorenne vorrebbe diventare avvocato contro l'opposizione del proprio padre che invece lo vuole idraulico, sarto o quantaltro e non fa il proprio dovere di figlio e segue la propria via e tenta di conquistare la liberta'. Viene pertanto cacciato dal padre e non si rivolsero piu' la parola. Il figlio mori' ubriaco e povero negli slum di Bombay.
Il padre era Ghandi. Stiamo parlando del Mahatma (la grande anima), il mito pacifista per eccellenza, che in questo film viene sottilmente messo in discussione. Perche' si puo' essere la grande anima ma come genitore si e' un fallimento. Si puo' essere un grande uomo ma e' meglio non averlo come padre. Si puo' fare il proprio meglio, ma la vita riserva altro. I figli riservano altro. Perche' sono persone diverse e hanno esigenze e pensieri diversi. Spesso vivono lontanissimi dai desideri e dalle speranze dei loro genitori. Lo sappiamo tutti che Ghandi fu un uomo immenso. Ma qui si racconta che come genitore fu un fallimento. E' come se la sfera pubblica superasse quella privata e quando succede l'infelicita' dei propri famigliari e' segnata nel destino. Lo sappiamo quanto l'armonia e l'amore nelle famiglie sia una rarita'. Nelle famiglie ci sono sempre dei piccoli meccanismi che non funzionano. Piccole parole che mai vengono dette. Non ci sono formule magiche. Si sa: l'amore e' terribile quando diventa incomprensione. E questo film lo racconta bene. Quanto sia stato difficile amarsi tra un figlio normale e un grande uomo.

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agosto 12, 2007

Dell'essere italiani all'estero


Quando si varca le frontiere si tende ad assumere due atteggiamenti: l'insicuro si traveste da ipernazionalista, l'esterofilo si nasconde sotto le vesti di internazionalista. Nonostante cio' l'italiano medio si riconosce di primo acchitto, pertanto il detto una faccia: una razza, e' perfetto. Lo si riconosce dalle scarpe, dall'abbigliamento, dalla pettinatura e dall'alto vociare. Che se non si fa casino e si non gesticola con orrendi effetti non si e' italiani dentro. Gli stranieri ci riconoscono per le scarpe, per l'alto vociare, per le manie enogastronomiche: il caffe' (ma e' una brodaglia sporca, mica ci sta un caffe' vero qui?) , la pasta (ma e' scotta che schifo!! la pasta la voglio al dente! Al dente!), l'acqua minerale gasata (Ma la San Pellegrino? come la Perrier? e che ci sta solo la Perrier qui?).
Al Taj Mahal dove dovrebbero venire quelli che i soldi ce li hanno, dove dovrebbero venire i signori con alto senso dell'educazione, ci si imbatte nella tipologia imprenditoriale. Tale tipologia si contraddistingue per l'esser maniaca di gadget elettronici dall'altissimo livello e all'ultimo grido (che non sia mai essere fuori moda!) e per l'alto vociare perche' far sapere subito quanto si sta investendo, come e in che campo denota sicurezza e virilita', in modo che altri imprenditori possano essere schiantati da tanta mascolinita'. Rimane comunque che l'alto vociare contraddistingue tutti gli italiani. Se per caso sussurrano bisogna stare veramente attenti. Ci sono sotto scandali e segreti.
Osservandoli da fuori si comprende quanto l'Italia sia provincia di ben altri imperi. Una piccola provincia che si e' dedicata alla consumazione di beni di lusso. Il senso del lusso l'italiano lo coltiva con innegabile precisione. Bisognerebbe aggiungere a onor del vero che il lusso non fa signore. Semplicemente trentanni di benessere hanno ridotto l'italiano medio alla fantastica convinzione che possedere oggetti di lusso sia avere animo signorile. E gli indiani che sono signori dentro: sorridenti, disponibili, gentili anche se cialtroni osservano gli italiani con spietato umorismo. Rimaniamo tuttora ancorati alla trilogia: mafia, mandolino e spaghetti. Negli ultimi ventanni sono stati soppiantati da Armani, Ferrari, Bulgari, Barilla. Dolce&Gabbana qui non sono nessuno. Non so se sia fortuna o meno, ma non avere troppa gente marchiata sulle mutande da' un senso di conforto. In India vige ancora un senso di pudore sull'esposizione della propria biancheria e l'ombelico anche se non e' coperto dal sari non e' la mutanda. Per dire.

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agosto 03, 2007

Humour indiano


Oggi ho deciso che gli indiani son simpatici.
Dopo svariate telefonate la signora sta quasi piangendo: "Lei non capisce, devo organizzare il matrimonio di mia figlia, e' importantissimo che parli con lo chef X."
Tento di calmarla dicendole " La faremo richiamare dallo chef X, non si preoccupi"
Piangente: "Ma lo sto cercando da quasi un mese!! come facciamo? La prego!"
Paziente "Adesso e' in riunione, la faccio richimare, non si preoccupi"
Piu' tardi incontrandolo "Chef guardi che l'ha chiamata due volte stamane, sembrava a pezzi, stressatissima, sull'orlo di una crisi di nervi"
Pacioso, tranquillo e sorridente "Non devo mica sposarmi io!"
Mentre stavo nell'ufficio del Personale per sbrigare le pratiche burocratiche per avere la carta d'identita' annuale, faccio conversazione con i simpatici personaggi che vi stazionano apparentemente senza nulla fare se non prestare la massima attenzione alle mie richieste e poi salta fuori che uno conviviale dica:
"L'anno scorso sono stato in Italia, a Roma e a Venezia. Roma mi e' piaciuta un sacco. Venezia ecco c'avrei da ridire, ho speso 100 euro per andare in gondola e l'acqua stava uno schifo di sporcizia. Orribile!"
Ribatto tanto per far polemica "Ma veramente l'acqua marrone ce l'avete anche qui a Mumbai"
"Appunto: prendo la barchetta e mi faccio un giro qui a Mumbai, mica spendo 100 euro per andar sull'acqua zozza"
Chiaccherando sempre in allegria chiedono ragguagli sulla mia provenienza.
"Mio padre e' del nord vicino a Venezia (Venice), mia madre invece e' di Napoli (Neaples pronunciato nepols)"
Uno dei vari ragazzi esclama" Ah viene dal Nepal!"
Sbarro gli occhi mentre gli altri cominciano a sghignazzare come pazzi e quello che e' stato in Italia dice " Non gli faccia caso viene dal villaggio, da adesso lo chiameremo Nepale' (il nepalese)"
e continuando la chiaccherata sulla sua incredibile esperienza in Italia "Ho bevuto dell'ottimo vino bianco"
Rispondo "Al nord si produce un ottimo vino perche' c'e' una lunga tradizione..."
M'interrompe e ispirato rivolgendosi al ragazzo " Nepale' hai sentito? Al Nord una lunga tradizione: com'e' il vino bianco di Katmandhu? Buono?!"

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agosto 01, 2007

Bello e dannato


Questa e' una bella storia e la racconto. Perche' c'e' Bollywood, perche' c'e' la mafia, perche' ci sono i terroristi.
Lui si chiama Sanjay Dutt. Ha 48 anni e la vita gli e' stata generosa e crudele (come lo e' in genere la vita mi si dira'). I fatti si svolsero nel lontano 1993 e allora aveva 34 anni ed era nel pieno del suo successo.
Prima lui un gran bel ragazzo, era giovane, era ricco ma soprattutto era figlio dei due attori piu' famosi dell'India. Forse non resse la pressione dei media, della fama, dei flash, del bel mondo, fatto sta che inizio' a farsi come un dannato e fini' per frequentare le solite brutte compagnie. I genitori non credettero a tanta sfortuna e pensarono che il copione potesse essere cambiato. Tentarono di recuperarlo e lo fecero ricoverare in una famosa clinica di disintossicazione del Texas. Ma nel mentre la madre mori' di tumore al pancreas, gettando l'India in un lutto quasi nazionale. La madre si chiamavama Nargis ed era bellissima.
Il ragazzo non resse al dolore e di nuovo si strafece. Eppure l'India continuo' ad amarlo e Bollywood lo fece lavorare e il regista Subhash Ghai nel 1993 lo diresse in un film che tutti gli indiani conoscono a memoria: Khalnayak una bella storia di mafiosi, dove lui faceva il cattivo della situazione. Gli indiani lo adorarono come avevano adorato i suoi genitori, nonostante fosse su tutte le cronache in quanto tossico e dannato. E continuava a frequentare brutte compagnie.
Nel 1993 la Storia a Bombay prese il sopravvento e scoppio' una bomba in un treno e morirono 250 persone.
Sanjay Dutt che frequentava brutte compagnie fece un piacere a un amico, gli nascose in casa pistole e un Ak56. Fu arrestato poco dopo per una soffiata con l'accusa pesantissima di di favoreggiamento d'atti terroristici e possesso illegale di armi. S'era scoperto che quelle armi appartenevano a coloro che avevano rivendicato la strage del treno.
Si fece due anni di prigione. Venne rilasciato e inizio' una lunghissima battaglia legale. La piu' lunga della moderna storia indiana. Intanto la sua vita privata venne di nuovo sconvolta dalla morte della moglie per metastasi al cervello, moglie che l'aveva molto aiutato nella sua riabilitazione.
Il lunghissimo processo come sempre accade divise il paese tra innocentisti e colpevolisti. Rischiava dai 4 ai 12 anni di reclusione. E finalmente ieri la corte ha deciso: l'ha condannato a 6 anni di prigione per possesso illegale di armi e a una multa di venticinquemila rupie. La sentenza e' stata esemplare perche' vuole far vedere una nuova India che va oltre la corruzione e il potentissimo crimine organizzato molto legato al terrorisimo internazionale. Sanjay ha detto:"14 anni fa ho fatto uno sbaglio" e il giudice Kode ha risposto:"Tutti fanno degli sbagli, ma l'elemento di criminalita' in te e' incurabile".
Ne e' seguita una drammatica conversazione fino alla conclusione delle parole del giudice Kode:
"Non perda la fede. Lei e' il numero uno nel suo campo. In questi 10 anni si e' comportato bene anche durante i processi...Dovrebbe essere come Gregory Peck nel L'Oro dei McKenna. Qual'e' stato l'ultimo film di suo padre? Munnabhai! Come suo padre ha recitato bene sino ai suoi ultimi istanti, cosi' dovrebbe fare lei. L'ho condannata a sei anni ma tenga presente che ne ha gia' scontati due, ne mancano quattro e passeranno in fretta. Non perda la fede'.
Gli occhi di Sanjya si sono riempiti di lacrime. Il ruolo di cattivo non gli riesce piu' bene.
E le caterve d'acqua del monsone lavano via le puzze di Mumbai.

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