giugno 26, 2007

Il trasloco

Le prime volte che uno fa il trasloco s'incasina non da ridere. Non sa fare spazio e non sa buttare via nulla. Man mano che la vita procede e i traslochi pure si finisce che a fare scatole non costa l'immane fatica psicologica degli inizi.
Anzi. Si diventa pratici di scatole di scritte e di mentale organizzazione: cosa va con cosa, dove va dove.
Eppoi a me è diventata matematica la certezza che più faccio traslochi e meno mi costano: perché ho buttato via tanta di quella roba che alla fine l'ansia dell'accumulo s'è annullata. Apro cassetti e butto, butto, scarto, scarto, levo, levo, e soprattutto distruggo e distruggo in un desiderio di purificazione che forse sa di salvazione. Pezzi di passato che se ne vanno senza lasciare traccia e finiscono nel dimenticatoio. Quelle piccole cose che mi fanno vedere la quotidianità come un'insieme di valori, finiscono per evaporare di fronte all'imminenza della novità. Nulla mi appare più importante. Occupa solo spazio. E pesa. Mi pesano tutte le cose che ho accumulato senza neanche sapere il perché. Senza carpirne la necessità. Così giusto per ricordarmi di quel giorno lì, di quel posto lì. E analizzando adesso m'accorgo che magari non è stato neanche un giorno così importante. Che le cose reali dei giorni importanti manco le ho tenute. Non ho conservato nulla e forse me ne pento. Vanificando l'aspetto oltrettutto oltraggioso delle mie scelte arbitrarie.
Traslocando mi rendo conto delle rare necessità che occupano i miei giorni. E sono veramente poche le cose necessarie. La figlia, i profumi, gli odori, la polvere, i colori, gli amici, le persone, la casa. Magari mi porterò via un paio di foto. Un simulacro di cosa vera. Ma le vere cose le lascerò qui. Non staranno con me. Di quello non posso inscatolare nulla. E solo di quello io sentirò dolore. Il dolore del lascito.

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giugno 19, 2007

Il mio paese


Capita poi che ti ritrovi che un po' d'amici attorno vivano la tua identica situazione e da un lato ti fa piacere il senso di comunanza e dall'altro t'impaurisce perchè intuisci in tutti la tua stessa aria allarmata e il tuo stesso identico terrore del salto nel vuoto. Non è apparenza perchè il cambiamento di lavoro e di casa e di città e di luoghi e di cuori provoca in verità un intenso desiderio di sicurezze. Che le senti sfuggire tutte immerse in un fiume in piena. Nel vortice di cambiamenti e di svolgimenti dell'esteriore realtà, il dentro appare sfigurato da tanto sconvolgimento. Perchè la verità è che nessuno di noi è tanto veloce a seguire i cambiamenti cambiandosi e men che mai l'adattamento adattandosi. Siamo tutti lenti e anche quelli che ti sembravano i più camaleontici alla fine sono quelli che rimangono più indietro, perchè non razionalizzano gli accadimenti e si perdono nei meandri delle facezie. Non è semplice cogliere l'essenza delle cose per non dire dell'essenza delle persone e per non tirare fuori la propria di essenza.
Discutendo invece dell'apparenza e di ciò che sta accadendo alla politica del mio paese vi è nella mia testa la percezione che se non cambiano quelle facce lì di fatto nulla si cambia e potranno darsi mille nuovi nomi ma il sentire e il fare di quelle faccie è uguale a prima. Vorrei osare dire che se non vedo volti nuovi vuol dire che questo paese non è capace di produrre energia vitale concreta e proficua. Insomma se non si è capaci di apporre un nuovo volto non si è degni neanche di credere che ci sia una vera svolta, lasciando a priori da parte l'aggettivo: nuovo.
Non si conti più su di me per avere un voto alle prossime politiche se vedo ancora il viso di Prodi &Co. Non lo darò di certo al nano sia mai. Ma almeno io nel mio piccolo sono capace di mettere delle firme e di cambiare sul serio e come me tutti i miei amici. Nel grande vedo che nessuno ne ha voglia. Oppure quelli che a me piacciono sono emarginati. Allora sono giunta alla conclusione che o sono io a essere troppo estremista e rivoluzionaria o sono gli altri ad essere vecchi e tristi. Se qualcuno mi parla dell'elefante rosa non so se ridere o piangere. Dumbo a me piaceva. Dumbo volava. Questa roba da centro di Prodi &Co. mi fa nostalgiacanaglia. Se rivedo assieme Romina e Albano che cantano rabbrividisco pensando che il tempo sia passato invano. Se una cosa muore un'altra nasce, lo so e lo capisco, ma mica stiamo a parlare di metempsicosi o della reincarnazione vero? Io a stare a sentire 'sti discorsi spirituali me ne vado in India. Per dire.

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giugno 10, 2007

Lapiccolacuoca va in India


Vado in India. Mica per ridere. Sul serio. Per starci tanto: un anno tutto. Parto e vado a lavorare per la catena Taj e per chi non lo sapesse c'è pure l'albergo Taj Mahal (stesso nome della settima meraviglia del mondo dovuta a Shah Jahan che pazzo di dolore per la morte della moglie Mumtaz le costruì una -meglio dire LA- tomba -meglio dire IL mausoleo più bello del mondo- giusto per ricordare al suo di mondo della perdita, del lutto e della morte di un essere amato tantotanto). Me ne vo contenta seppur non felicefelice, perchè devo lasciare qui la figlia e assai mi dispiace, meglio dire m'addolora.
Comprendo appieno quanto l'emigrazione faccia parte delle mie corde lontane, soggiace nei ricordi della mia esistenza,
ne comprendo appieno lo strazio viscerale di lasciare gli affetti più urgenti e cari. Ma finisce sempre che pur'io emigro perchè son figlia di quella generazione lì: quella che è partita per far i soldi, per la fame e non certo per spirito d'avventura. Almeno posso dire d'avere un po' di spirito d'avventura. O forse è solo (in)sana incoscienza. Vado a Chennai laggiù nel sud dell'India, vado al Taj Coromandel ad aprire un ristorante italiano e a insegnare agli indiani la cucina italiana. Vado a fare il mio mestiere: l'opening chef. Il ristorante italiano: non si sa come si chiamerà e stiamo pensando al nome. Suggerimenti? Sarà un parto. Me lo sento. E sento che saranno gioie e dolori e prevedo immense disgrazie e grandi soddisfazioni. E lo so che il mio cuore si spezzerà alla vista di fame e miseria e si struggerà alla visione di dei molto più antichi dei nostri. Magari fondo pure io una nuova religione.
Capirete di certo che il blog assumerà contorni diversi e sarà molto più diario di viaggio.
Dovrei raccontare di quanto sia stata infelice quaggiù ma davvero non ho voglia. Alla fine se dei mali si sta troppo a dire, il male rimane, s'impianta e s'infoltisce. Generando malessere. Che non smette d'essere male.
Comunque vi terrò informati.
Non ero morta, vi spiego: stavo solo giocando troppo e mi stavo un po' perdendo.
Adesso il gioco s'è fatto d'improvviso serio. E' diventato d'un tratto un viaggio. Lontano.
Vado in India. Mica per dire. Sul serio.

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