gennaio 29, 2007

C'è sempre qualcuno prima di te


Sto leggendo questo libro.
A un certo punto Madame Lilly Bollinger (sì proprio lei, quella dello champagne) afferma a (s)proposito della famosa bevanda con le bollicine:


I drink it when I am happy and when I am sad.
Sometimes I drink it when I am alone
When I have a company, I consider it obligatory
I trifle with it if i am not hungry, and drink it when I am.
Otherwise I never touch it -unless I am thirsty.
(E questa sarebbe l'esatta cit. dal libro ma...mi si fa notare che essendo Madame francese lui dice che Madame si sarebbe espressa di sicuro così:
Je le bois quand je suis heureuse et quand je suis triste.
Je le bois parfois quand je suis seule.
Quand je ne le suis pas, je le considère comme indispensable.
Dans les autres circonstances, je n'y touche jamais,
sauf si j'ai soif)
C'è da chiedersi a cosa le servisse l'acqua. Giusto per lavarsi.
A confronto quella smandrappata di Paris Hilton fa una figura da miseria nera.

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gennaio 18, 2007

1981. Parigi. La cena.


1981. Partimmo da Venezia per andare a Parigi con il treno. Chiaro che c'era Matteo con la chitarra e noi tutti passammo la notte a cantare canzoni di De Andrè e di Battisti. Binomio orrendo ma allora si usava così. L'impegno e il disimpegno. Poi attaccammo con i Talking Heads e i Clash insomma una nottata lunga e rumorosa. Arrivammo alla Gare de Lyon stremati. Dovevamo finire al campeggio di Bois de Boulogne. Prendemmo metropolitane su metropolitane, affamati e stanchi montammo la tenda e ci accasciammo a dormire. E poi Parigi ci accolse. Eravamo in dieci e a Parigi l'unico che c'era stato era Matteo, che ci fece un po' da guida nei giorni seguenti finchè parve d'esserci benissimo ambientati. Delle due settimane che la guardai, andai in giro, girovagai nei quartieri turistici e quelli meno conosciuti, quello che più mi è rimasto dentro fu il colore del cielo e le sue nuvole e soprattutto l'aria che nella mia testa sapeva di bagette e formaggi. Ma anche di pasticcini. E di profumi lussuosi.
Quando vado in paese straniero la prima cosa che faccio è di entrare nei supermercati e nei negozi di cibo. A Parigi i supermercati erano fenomenali, pieni di roba e colmi di vini con etichette meravigliose. Guardavo le vetrine delle macellerie che a Parigi ai tempi erano piene di animali appesi e 'sta cosa a me affascinò assai. M'affascinavano le pollerie con le lepri, i conigli, le faraone, le oche tutti appesi con manti e pelliccette. Adesso per questioni igieniche è tutto diverso ma allora era prassi. E a me piacque un casino. Mi faceva molto film horror ambientato nell'800.
E poi nei mercati i banconi strapieni di patè e formaggi. E le pasticcerie che parevano gioiellerie. E soprattutto la brioche. Il croissant. Il pain au chocolate. Di cui ci strafogammo essendo alimenti molto a basso costo e vicini alle nostre povere tasche. Mi piaceva la vita di quartiere che ruotava attorno ai bistrot che poi stavi un po' a guardare e sembravano i bar dei nostri paesi. Tutti che si conoscevano e si salutavano e nessuno che si faceva i cazzi suoi. Tutti che sapevano di tutti. E lo sguardo che ti inquadrava subito come un turista e non come un autoctono.
Ovvio che essendo studenti non avevamo una lira e quindi passavano sempre a fare la spesa nei supermercati e si finiva per mangiare pere, formaggio, patè, bagette, brioches, insomma una vita abbastanza grama dal punto di vista alimentare. Mica potevamo permetterci il ristorante.
Ma un giorno Matteo ci stupì con effetti speciali e disse che una cara amica della sua mamma ci aveva invitato a casa sua quel sabato sera. Insomma stavamo andando ad una cena a casa di una parigina. Lodammo molto Matteo che ci stava salvando da un'altra misera serata a mangiare roba fredda. Non sapevamo che la signora abitava in un palazzo (di sua proprietà) che dava sulla Senna vicino a Notre Dame. Quando lo scoprimmo ci rimanemmo molto di sale. Non c'eravamo vestiti bene, anzi apparivamo una piccola banda di straccioni. L'unico fattore positivo era che m'ero impuntata che si doveva portare almeno un mazzo di fiori alla signora. Feci una sorta di esproprio proletario prelevando denari dalle tasche dei miei compagni di disavventura e acquistai un enorme mazzo di fiori, bellissimo, e di cui fui fiera. Gli altri mi odiarono ma poi mi ringraziarono. A fine serata. Dopo la cena.

La signora era vedova ed era una donna meravigliosa, piccola, fragile e bellissima che ci accolse con estrema nobiltà e gentilezza, ci presentò la figlia altrettanto piccola e bellissima e di cui tutti i maschi s'innamorarono così seduta stante (e c'ha pure i soldi! disse il Vince) e ci fece accomodare nella sala immensa con tavola apparecchiata. Ci sembrava di essere caduti in un sogno. Per noi 10 ragazzi provinciali, ironici e punkettari fu uno spasso, pensavamo stessero girando un film e ci fosse la candid camera nascosta da qualche parte. Per nostra fortuna quasi tutti noi eravamo stati educati bene a tavola. Sapevamo soprattutto quale posate usare (e ce n'erano tantissime), e non facemmo figure di merda. Benchè punkettari eravamo alla fin fine dei borghesi e si sà tutti i borghesi riconoscono la richezza sedimentata. La signora sapeva l'italiano e verso metà serata riuscimmo banda di guitti a farla ridere. Aveva una risata cristallina e trascinante che pareva quella di una bimba gioiosa. Scherzammo molto e l'atmosfera rarefatta divenne grazie alle numerose bottiglie di vino allegra e rilassata. La signora fu vera signora e come tutti i gourmand ci passò preziose informazioni su cibi e bevande.
La cena? ekkevelodicoaffare: fu sublime. Sarà stata la fame ma fu un alto tripudio di grande cucina francese: un piatto enorme di formaggi, un piatto di paté e fois gras, enormi quantità di vino rosso, un brodo (cazzo il brodo! ma allora è come a casa! sussurrò Vince, no l'ospedale! mormorai io, si chiama consommé testedikazzo! disse Matteo), faraona con salsa alle prugne e poi lepre con verdure, insalate varie, e per finire una mousse che ancora ricordo. Una mousse allo champagne Krug (nota bene Krug: razza di ignoranti) accompagnata da appunto un flute di Krug.
Fu una cena memorabile. Non mangiai mai più così bene a Parigi benché ci sia ritornata tante volte e mi sia fatta degli azzeccati tour enograstronomici.
Ma come dicevo: si era nel 1981 e noi avevamo fame e la fame fa strani scherzi alle papille gustative ma Parigi è sempre Parigi e io non c'ho mai mangiato male. Mai. Mica per dire. Sul serio.

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gennaio 12, 2007

La fragilità del giorno


Ogni giorno a me succedono cose. Molte delle quali non basterebbe un libro a raccontarle, ricordarle e commentarle. E molte delle cose che mi succedono accadono fuori dalla cucina, tipo tragitto casa-lavoro, altre ovvio nel mio luogo di lavoro: in cucina. Molte delle cose che vado a raccogliere appartengono a quella che io definisco la fragilità del quotidiano: dell'impermanenza delle persone che accanto mi passano e con cui lavoro. Specie nelle cucine dove si cambia di sovente luogo e brigata, dove la tragedia sta nel continuo essere ballerini con le proprie emozioni e con gli altrui luoghi e dove la comicità sta nel discontinuo gioco di scherzi e lazzi tra i vari componenti della brigata.
La novità dell'anno novello: in cucina ho un nuovo commis (aiuto-cuoco, un cuochino insomma) a cui bisogna insegnare tutto. Quello precedente se ne ritorna al suo paese. Era un giovane volonteroso, bravo, onesto, ma completamente stordito. Nel senso che di cucina non sapeva niente e non c'era tra l'altro portato, non aveva grandi capacità manuali e soprattutto tragedia: non era organizzato. L'organizzazione lavorativa significa la capacità di perdere poco tempo nella produzione della merce. In cucina in particolare significa essere puliti sul proprio bancone di lavoro, avere a portata di mano tutti gli ingredienti della ricetta e lavorare alacramente. Diciamo che il precedente commis era completamente negato nella prime due fasi. Non prendeva tutti i prodotti della ricetta e se li metteva a portata di mano, andava avanti e indietro a prendersi le cose e se ne dimenticava metà per strada. Non buttava nulla degli scarti ammucchiandoli disordinatamente sul tavolo e aggiungeva disordine a disordine. In cucina non si può fare. L'ordine e la pulizia devono regnare sovrane. Per questioni di igiene e di spazio. (Nota a metà post: avevo già scritto di come si dovrebbe essere in cucina qui)
In quattro mesi che è stato con me non è passato giorno che io non gli dicessi: metti a posto, fai pulizia, metti in ordine la tua linea...insomma uno spreco di parole e ordini. Rimane che bisogna comunque investire sui ragazzi. Rimane anche che apparteneva alla brigata ed era mia responsabilità inquadrarlo all'interno del gruppo. La fragilità del giorno è che quando se ne va via uno con cui si trascorre parte delle proprie giornate, si passa un piccolo momento di elaborazione del lutto: alcuni fanno finta di niente, altri ne sentono la mancanza. Perché l'essere umano si affeziona poi magari passa tutto il suo tempo a sfottere e litigare ma l'affezione è tipico. MI è tipico.
Quindi ora stiamo a vedere cosa fa il nuovo commis che è alto, dinoccolato, piuttosto lento ma gli piace fare questo lavoro. E se lo maltratto non si mette a piangere. Cosa fondamentale. 'Che l'altro piangeva tanto. Un urto al nervo che non sto a raccontare.
Ma in questi giorni i ragazzi (io pure) sono malinconici. Un po' di blu nelle anime, di fragilità del quotidiano non saremo mai abbastanza avvezzi. L'abitudine al dolore è una gran brutta cosa. E' quella roba percui la maggior parte delle brave persone nelle guerre e nei delitti va banalmente alla radice del male che dentro ci trasciniamo. A me rimane inspiegabile il perché. Dovunque. Comunque.

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gennaio 10, 2007

Ehi Mr. Jobs



So coooool, incredible cool, but sorry Mr. Jobs, only a question:
if I'll spend a huge amount of dollars (or euro) and I'll lose it...what happens?. I mean, I have to gonna kill myself, because I'll lose my Ipod, my Iphone and my minimac all together...I couldn't live without. Seriously. What fucked coolness is it?
Translation: fiiiigooo, veramente figo, ma mi scusi signor Jobs, solo una domanda:
se spendo una barcata di soldi e lo perdo...che succede? Cioè mi suicido, perché perdo l'Ipod, l'Iphone, il computer tutt'assieme, come farò senza? Sul serio. Che cazzo di figata è?
Mi sono appena vista la presentazione di Steve Jobs che ritengo persona intelligente come lo sanno essere gli americani. Non geniali. Non lo sono quasi mai. Ma son simpatici e son veramente dei bambinoni. E mentre guardavo mi sono chiesta a quanto lo potranno mai vendere il mega-oggettone-faccio-tutto-io. E quasiquasi me lo compro e poi l'orribile dubbio mi si è insinuato. 'Sto oggetto è eccessivo, io non son pronta. Troppa roba. (Insomma è come avere la lavatrice, l'asciugatrice, la lavastoviglie, il forno, il forno a micronde, e mettiamoci pure l'aspirapolvere tutt'assieme. Si rompe. Io vado in completa merda). M'ha spaventato ecco.

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gennaio 06, 2007

L'anno nuovo


Ogni anno vorrei cambiare casa e luogo di lavoro. Non il mio lavoro che amo. Proprio il posto. Ma anche la città. Perché? Se non fosse una risposta trita, zufolerei: il cuore (il mio in particolare) è uno zingaro e va. Suppongo che la popolazione Rom non sarebbe molto in sintonia con questa canzoncina. Ho come quell'impressione.
Vorrei cambiare città e lavoro e vorrei fare nuove cose. Ogni inizio anno. Ma finisco che la casa la cambio ogni quattro anni circa (a parte gli anni universitari e un anno a Milano con quattro traslochi). Questa sistematica voglia di traslocare e cambiare posto di lavoro mi ha rifornito di vasta capacità d'adattamento e di rinnovamento (esteriore però, interiormente rimango vecchia e basta).
Ogni anno vorrei vedere pareti e zone nuove e muri diversi ma costa. Il trasloco costa. Sono diventata abilissima a impacchettare e inscatolare e l'ultimo trasloco è stato fatto in due giorni. Mi capita di trovare case sempre belle perché me le cerco con cura. Non è facile assicuro. La tipologia di casa è sempre la stessa: edilizia (anni 30/40) per i muri e l'altezza del soffitto e soprattutto il parquet che per me è fondamentale.
Poi sperpero i soldi in affitto (anche se riesco a trovare dignitose sistemazioni a prezzi non elevatissimi) perché appartengo alla tipologia di persone che non avrà una casa fissa. Mai. Ovvero l'ospizio alla fine della propria esistenza.
Poi mi trovo sempre delle case con cucine piccolissime. Con grandi saloni ma piccolissime cucine. A casa cucino poco. Eppure passo in cucina molto del mio tempo. Pertanto a casa faccio altro. Leggo, studio, faccio ricerca, e sì ovvio cucino ma non sempre e spesso vado fuori a mangiare 'ché mi piace vedere che fanno gli altri...Per questo la cucina è piccolissima. Benché in cucina ci viva. Ma non è la mia di cucina.
Se dovessi descrivere la mia casa ideale: starebbe su una costa di fronte al mare, con tutte le stanze con le serrande scorrevoli molto grandi stile soji, che danno sul mare con un'enorme cucina (lì sì la cucina sarebbe grande) e sul retro un grande orto e davanti molti alberi da frutta e piante aromatiche e tanti fiori...ma sul mare. E la luce del Mediterraneo. Che quella a me manca stando a Milano. Sempre.
Ma il tram mi passa sotto casa e a me piace il suo rumore. Lo trovo antico.
E la luce a tratti ricorda la luce del Mediterraneo. A tratti significa due o tre giorni all'anno.
Ogni inizio anno penso di cambiare, ma lo so che non va come penso. Perché i cambiamenti arrivano quando uno non li pensa, magari se li sente dentro, ma giungono quando vogliono loro. Così finisco che faccio quello che facevo l'anno scorso: il pratico culo nella pratica cucina di un ristorante molto alla moda. Zufolavo: il cuore è uno zingaro e va...Ecco, anche no. Non quest'inzio d'anno. Per dire.

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