febbraio 26, 2006

1967. Zurigo. La fondue.


Abitavamo a Zurigo. Io stavo in collegio. Mio padre mi venne a prendere venerdì sera ed ero in fibrillazione perché stare in collegio non mi piaceva. Per niente. Mi ricordo che mi venne a prendere e poi salimmo in un'auto, e a guidarla c'era il signor Raber, il padrone di mia madre. Mia madre lavorava nella tipografia dei signori Raber, dove a me piaceva tantissimo andarci perché era pregna d'odore d'inchiostro ed era rumorosa piena di macchine Offset. C'era Nadya, una bellissima diciottenne dalle gambe lunghe lunghe e i capelli neri anch'essi lunghi lunghi, che si metteva i zatteroni e la minigonna. Una fulminata che probabilmente si faceva le canne ai tempi e che amavo aiutare a fare la scomposizione dei caratteri. Insomma quel magico venerdì faceva ben freddo e stava iniziando a nevicare, e noi tutti eravamo ospiti invitati a casa dei Raber. Lui era un omino molto simpatico, coltissimo ed ebreo e la signora Raber era una donna elegante ed allegra con un sorriso benevolo e onnipresente. Adoravo andare a casa loro, spaziosa, grande e luminosa, si respirava un'aria tranquilla, borghese e serena che io non avevo e che i miei non potevano ancora possedere. La tavola era rotonda con una strepitosa tovaglia viola scuro e i tovaglioli erano arancioni, il servizio di porcellana verde scuro. C'era un'enorme quantità di candele in giro per la sala da pranzo. Tutte accese. In cucina la signora Raber stava tagliando a fettine fini fini un grosso pezzo di gruviera mentre mia madre tagliava il pane a cubetti per metterli poi a tostarli nel forno. Mi abbracciarono tutte contente e io mi misi a guardarle e loro non smisero un secondo di chiaccherare scoppiando ogni tanto a ridere. Poi la signora Raber mi chiese se avessi mai mangiato la fondue e dissi no e chiesi cos'era la fondue e tutti risero e io non capii il perché. E allora la signora Raber mi spiegò la ricetta e l'aiutai a passare sulla pentola l'aglio, a versare i cubetti di gruviera, la farina,a mescolare bene, portare a bollore e poi a versare un po' di vino bianco e un po' di kirsch. E girare, girare e girare, e si raccomandò; sempre nello stesso lato, il lato che vuoi ma dev'essere sempre quello. Poi quando portammo la pentola con la fondue pronta al centrotavola il signor Raber accese il fornello. L'assaggiai per la prima volta nella mia brevissima vita, non mi piacque granché, perché aveva un sapore forte forte, in compenso mi piacque molto tutto il lungo rituale dell'immersione delle forchette, della pentola al centro 'che sembrava un pezzo di fiaba nordica con tutte quelle candele intorno. E imparai a non perdere il mio boccone di pane, che non porta bene mi disse il signor Raber aggiungendo: non perdere mai il tuo pezzo di pane perché perdi una parte preziosa, e chiesi: quale?
lui mi disse: la tua parte migliore
e qual'è la mia parte migliore?
quella parte che porterai sempre con te
sempre?
sempre, perché sta nel tuo cuore
Guardai a lungo la mia forchetta con il mio pezzo di pane dentro la fondue e la vidi galleggiare con appesa una forma di cuore. Ma solo adesso la capisco 'sta cosa. Questa weltanshauung dell'amarcord.

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febbraio 24, 2006

La piccolacuoca fa la spiega di storia. Terza lezione: la lasagna



Proseguo il seminario di storia del cibo: le mie spieghe sono molto scientifiche e vi pregherei di non interrompermi. La terza lezione riguarda la nascita della lasagna. Poiché la pasta, il sugo e la salsa agli umani e in particolare agli chef piacciono molto, comprendiamo tutti l'enorme importanza della lasagna, madre di tutte le paste fresche e non.
1799. Ancona, ridente città affacciata sul mare Adriatico. Regione: Marche. Windisch Graetz, Generale austroungarico di "passaggio" ma in realtà prima turista che avrebbe inaugurato un filone che nei secoli a venire imperversà le spiaggie delle ridenti e amene località su quello stesso mare, si sedette a tavola con un certo languore e brontolio di budella. Aveva fame. Molta fame. Antonio lo chef (tecnicamente bravissimo ma umanamente una merda, un genio tra i fornelli ma una schiappa fuori dalle cucine) lo serviva da alcuni mesi ma sappiamo per certo che non andavano d'accordo. Uno riteneva il panciuto austrungarico un povero demente e l'altro pensava dello chef il peggio possibile. Antonio lo chef tentava di fare bene il proprio mestiere ma non era felice. Continuava a spignattare ma non era felice. La causa della sua infelicità si chiamava Generale Graetz l'austrungarico che continuava a chiedere salami e patate e altre pietanze che nulla avevano a che vedere con l'immensa cultura culinaria che Antonio lo chef (tecnicamente bravissimo ma umanamente una merda, un genio tra i fornelli ma una schiappa fuori dalle cucine) pensava di possedere. E poi c'era la lingua che li divideva. Il territorio. I sapori. La rivoluzione scoppiata e Napoleone. Antonio lo chef non era per nulla contento di servire il grasso Generale Graetz l'austrungarico. Che aveva sempre fame e nulla riusciva a sfamare.
Quel tiepido giorno d'inizio primavera Antonio lo chef decise di proporre i princisgrassi che erano la sua specialità e che non aveva trascritto nel menù. Così tanto per provare e tanto per essere cacciato in malo modo e dichiarare al mondo che il grasso Generale Graetz l'austrungarico invasore nonché oppressore l'aveva maltrattato. Le lasagne pensava di averle inventate lui ma in realtà c'erano anche ai tempi dei romani. Aveva trascritto la ricetta nel suo moleskine cinque anni prima della rivoluzione:
prendete una mezza libra de persciutto, facetelo a dadi piccoli, con quattr'once di tartufari fettati fini; da poi prendete una foglietta e mezza di latte, stemperatelo in una cazzarola con tre once di farina, mettelo in un fornello mettendoci del persciutto, e tartufari, maneggiando sempre fino a tanto che comincia a bollire, e deve bollire per mezz'ora; da poi vi metterete mezza libra di pana fresca, mescolando ogni cosa per farla unire insieme; da poi fate una perla di tagliolini con dentro due ovi e quattro rossi; stendetela non tanto fina e tagliatela ad uso di mostaccioli di Napoli, non tanto larghi; cuoceteli con la metà di brodo e la metà di acqua, aggiustati con sale; prendete il piatto che dovete mandare in tavola: potete fare intorno al detto piatto un bordo di pasta a frigè per ritenere in esso piatto la salsa, acciocché non dia fuori quando lo metterete nel forno, mentre gli va fatto prendere un poco di brulì; cotte che avrete le lasagne, cavatele ed incasciatele con formaggio parmiggiano e le andrete aggiustando nel piatto sopraddetto, con un solaro de salsa, butirro e formaggio e l'altro de lasagne slargate, e messe in piano, e così andrete facendo per fino che avrete terminato di empire detto piatto; bisogna avvertire che al di sopra deve terminare la salsa con butirro e formaggio parmiggiano e terminato, mettetelo in forno per fargli fare il suo brulì...Portò in tavola al grasso Generale Graetz l'austrungarico le lasagne belle gratinate. Il panciuto Generale Graetz l'austrungarico si mangiò una teglia intera e ne chiese un'altra ancora e Antonio lo chef rifece un'altra teglia e poi un'altra e un'altra ancora...Da quel dì il grasso Generale Graetz mangiò solo le lasagne essendone ben ghiotto. Antonio lo chef, maledicendo il giorno in cui aveva avuto la malaugurata idea di servirle e stufo di farle e rifarle le chiamò i vincisgrassi (windischgraetz) che non ne poteva più dell'austrungarico grassone e dei suoi modi da gran gradasso. Leggenda narra che il grasso Generale Graetz morisse di gotta. Ma la storia ricorda quel che vuole ricordare e come sempre dello chef pochi ne sanno, delle sue lasagne il sapore non si rimembra mentre i vincisgrassi son parte integrante della storia gastronomica delle Marche.

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febbraio 20, 2006

il manifestone della piccolacuoca: il vecchio decalogo della nuova cucina




1. Chef si nasce e non si diventa. Non serve studiare. La conoscenza è interiore. La creatività pure. Lo chef non cucina. Mai. Lo chef crea. Sempre.
2. La cucina è lo spazio dove si cucina ed è il mondo dello chef. Bisogna saper creare per entrare in cucina.
3. Anche saper fare bene la spesa. Lo chef bravo è colui che con 100 euri riesce a far mangiare 200 persone. Ma dev’essere come Gesù alle nozze di Cana. La capacità di moltiplicare pani e pesci dev’essere connaturata in uno chef. La massima da seguire è ‘tanta resa zero spesa’.
4. I prodotti non sono importanti e il menù dev’essere ermetico. Si può usare un’arma magica: la poesia. Il cliente non deve immaginare, sospettare e lontanamente sognare cosa mangerà. Il cliente è quella persona che si siede al tavolo del ristorante e che dev’essere preso per i fondelli. Sempre. Perché il cliente è stupido. Lo chef invece è un genio.
5. Lo chef deve sapere di chimica, biologia, agricoltura e fisica, deve avere la scienza infusa. Deve altresì conoscere tutte le ricette di tutto il mondo. Tutti i sapori possono essere cambiati e trasformati per arrivare al prodotto finale che è la pietanza d’ora in poi detta creazione.
6. Il piatto è un supporto qualsiasi dove lo chef appoggia la sua creazione. La creazione deve essere bellissima, costruita, alta, elegante, sublime, buonissima. Sempre. Può essere copiata di sana pianta da altri chef e dev’essere venduta come propria affermando il falso e lo spergiuro. In un piatto devono essere presenti tutti i gusti: dolce, salato, amaro, piccante, agro, oleoso, profumato, colorato e pigmentato. Tutt'insieme. Sempre.
7. Per ottenere la creazione bisogna procurarsi molte sostanze psicotrope da offrire prima del pasto al cliente, in modo che quest’ultimo non capisca nulla e faccia confusione ma affermi che tutto è buonissimo. Sempre.
8. Lo chef ha la sua brigata che dev’essere affiatata e unita nell’adorazione per lo chef. Che può maltrattare, schiavizzare, insultare e percuotere tutti gli appartenenti alla brigata. Può altresì ricattare e violentare affinché la pietanza risulti essere come da immagine voluta dallo chef. Immagine che non viene spiegata. Mai. In cucina lo chef è Dio. Sempre.
9. Se lo chef apre un ristorante deve smazzettare: ispettori Asl affinché la cucina non segua nessuno dei criteri richiesti, impiegati e dirigenti del Comune affinché le pratiche possano avere un decorso rapido e veloce, i fornitori affinché portino i prodotti a prezzi migliori fottendoli agli altri chef.
10. In cucina lo chef dev’essere invidioso, geloso, cattivo, pettegolo, ruffiano, arrivista, bugiardo, narcisista, egocentrico, superbo e infido. In sala dev’essere affascinante, allegro, conviviale, generoso, umile e lavoratore. Davanti alle telecamere uguale come in sala. Con gli altri colleghi chef uguale come in sala. Lo chef non fa trasparire la sua vera natura. Mai.

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febbraio 19, 2006

il manifestone


Ma senti questo! ha scritto pure il manifesto! straordinario. In 23 punti. Davvero. Se ne scriveva solo 10 era meglio. Citava qualcuno famoso. Per dire.
1. La cucina è un linguaggio mediante il quale si può esprimere armonia, creatività, felicità, bellezza, poesia, complessità, magia, humour, provocazione.
2. Si dà per certa l’utilizzazione di prodotti di massima qualità, così come la conoscenza delle tecniche per elaborarli.
3. Tutti i prodotti hanno il medesimo valore gastronomico, indipendentemente dal loro prezzo.
4. Si utilizzano preferibilmente prodotti vegetali ed ittici, predominano inoltre i latticini, la frutta secca ed altri prodotti che nel loro insieme configurano una cucina leggera. Infine, si fa uno scarso uso di carne rossa e di volatili di grossa taglia
5. Per quanto si modifichino le caratteristiche del prodotto (temperatura, consistenza, forma ecc.), l’obbiettivo è di preservare sempre la purezza del suo sapore originale, salvo nei processi che prevedono cotture prolungate o nei casi in cui si ricerchino sfumature risultanti da reazioni come quella di Maillard.
6. Le tecniche di cottura, sia classiche, sia moderne, sono un patrimonio che il cuoco deve saper sfruttare al massimo.
7. Come è successo nel corso della storia nella maggior parte dei campi della evoluzione umana, le nuove tecnologie sono uno strumento per il progresso della cucina.
8. Si amplia la famiglia dei fondi e, insieme a quelli classici, si utilizzano fondi più leggeri che esercitano la medesima funzione (acqua, brodo, consommé, succo de verdure chiarificato, latte di frutta secca ecc.).
9. Le informazioni trasmesse da un piatto si apprezzano per mezzo dei sensi; come pure si apprezzano e razionalizzano con la riflessione.
10. La stimolazione dei sensi non è solo gustativa: si può giocare ugualmente con il tatto (contrasti di temperature e consistenze), l’olfatto, la vista (colori, forme, trompe l’oeil ecc.), con ciò i sensi diventano uno dei nostri punti di riferimento al momento della creazione.
11. La ricerca tecnico-concettuale è il vertice della piramide creativa.
12. Si crea in équipe.
13. Si cancellano le barriere tra il mondo dolce ed il mondo salato. Importanza del mondo gelato salato e della cucina fredda in generale.
14. Si rompono gli schemi della struttura classica dei piatti: tra gli antipasti e i dolci c’è un’autentica rivoluzione che ha molto a che fare con la simbiosi, nei secondi piatti si abolisce la gerarchia "prodotto-contorno-salsa". L'antipasto si fonde col dolce, al secondo non dobbiamo affiancare il contorno.
15. Si potenzia un nuovo modo di servire il pasto.
16. L’autoctono come stile è un sentimento vincolante al territorio.
17. I prodotti e le elaborazioni di altri paesi si sottomettono al proprio criterio di cucina.
18. Esistono due grandi rotte per raggiungere l’armonia di prodotti e sapori: per mezzo della memoria (destrutturazione, collegamenti con l’autoctono, reinterpretazioni, ricette moderne precedenti), o per mezzo di nuove combinazioni.
19. Punti di contatto con il mondo e il linguaggio dell’arte.
20. Il concepimento delle ricette è pensato in modo che l’armonia si esprima in piccole razioni.
21. La decontestualizzazione, l’ironia, lo spettacolo, la performance, sono assolutamente lecite, purché non siano gratuite ma rispondano o si colleghino ad una riflessione gastronomica.
22. Il menù degustazione è la nostra espressione nella cucina d’avanguardia. E’ una struttura viva e soggetta a cambiamenti. Si dipana attraverso concetti come snack, tapas, morphings, ecc.
23. La conoscenza e/o la collaborazione con esperti di differenti campi (cultura gastronomica, storia, design industriale, scienza) è basilare per la nostra evoluzione.
Illo si chiama Adrià Ferran. E' catalano. Avevo mangiato da lui quando ancora nessuno se lo cagava. Ma s'è montato la testa. Troppa attenzione fa male all'ego. Lo dico sempre. Alcuni lo adorano e altri lo detestano e bhè l'importante che se ne parli. Lo diceva anche Oscar. Gran brava persona.
Desidero fare un'analisi strutturale e logica (non l'analisi grammaticale) punto per punto. Anzi fatevela da soli. Poi mi dite cosa ne pensate.
Che se siete intelligenti in genere prendete spunto dall'arte, dal design, dalla cacca che vedete e fate i vostri bei pensierini. Ma in genere e in generale il discorso lo chiudiamo qui. Ma da domani scrivo un bel manifestone anch'io. Che mi sento tanto artista e scriverò come un'artistoide. Per dire.

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E a questo qui quanti soldi dobbiamo?


Morì giovane. 36 anni. Pochi. Ma aveva scritto, musicato e diretto un bel po' di musica. Troppa. Così tanta che nei secoli a venire fu copiato, inciso e sentito talmente che tuttora è il musicista più ascoltato. Amedeo ce lo possiamo dire: fu un genio. Se dovesse ritornare in vita a questo quanti soldi dobbiamo? Case discografiche e umanità intera? Tra copyright e royalties Amedeo diventerebbe ricco quanto Billgates, l'uomo più ricco del mondo, che pare si sia lamentato che il fisco americano non riesce a fargli pagare le tasse in modo giusto perché i computer s'impallano. Ha troppi soldi.
Ci sono un po' di chefs in giro che vorrebbero il copyright sulle proprie ricette. Credo un po' si sentano inventori e un po' artisti. Ma credo anche che chiedere il copyright sulla ricetta sia abbastanza idiota. Quanto soldi dobbiamo a chi ha inventato lo spago con il pomodoro? L'idiozia del resto ci appartiene e si sa che tra i fumi di padelle in fumo van le cervelle.
Ma qualcuno spiega a sta marea di cheffi trestelletre che inventare, anzi come dicono loro creare un piatto in cucina non da' diritto a nessun copyright? al massimo se uno è bravo e sa scrivere, può pubblicare un proprio libro di ricette (in libreria un pienone di libri di ricette, la cucina è così trendy ultimamente!) e appena si pubblica si ha diritto al denaro per ogni copia venduta. Basta e avanza, credo. Dato che altri sono i proventi che gli chefs prendono. Per esempio dai propri clienti. Basta lavorare bene e se anche la ricetta che s'inventano è la loro, vivono in un mondo dove le idee migliori sono state già tutte inventate. Vogliono il brevetto sulla ricetta? Il medaglione di cervo brasato con spuma di avocado e gelato fritto ai frutti di bosco con cuore fuso di ribes...il copyright su questa ricetta?? Se io la rifaccio devo pagare per averla "copiata" oppure devo pagarla perché l'ho semplicemente "usata"?
La mancanza di umiltà di molti chefs è disturbante. Ultimamente mi stanno venendo molto a noia. Non solo per troppo spazio mediatico che stanno acquistando su reti e programmi e giornali. Il vero e reale problema è che troppa gente si sente artista. Nessuno va a spiegare che c'è un monte di differenza tra un bravo e buon artigiano e un artista. Anche gli artigiani quelli bravi creano delle scuole. Delle botteghe. Delle correnti di pensiero.
Ma un artista è un'altra storia. Ci dà quel qualcosa che attraverso i secoli ci smuove il cuore e ci fa palpitare la mente. Ci fa lacrimare e ci fa pensare. Ci dà un'altra visione del mondo e della vita.
In genere muore giovane, povero e malato (il modello romantico).
Oppure muore vecchio, ricchissimo, avaro e stronzo (il modello contemporaneo). Strana 'sta cosa.

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febbraio 10, 2006

la ricetta della piccolacuoca: il baccalà alla triestina


I contadini un tempo mangiavano il pesce una volta alla settimana. Il venerdì. Il giorno della passione, quello del sangue versato da Cristo. Pertanto era il giorno che doveva essere dedicato a ciò che non sanguinava. Il pesce era il simbolo della cristianità. Il venerdì divenne il giorno dove la dieta povera con l'assunzione di vitamine e fosforo del pesce divenne una dieta completa. Nonna comprava il baccalà al mercato il martedì. Lo metteva in acqua per due giorni a mollo, cambiando l'acqua ogni 7 ore circa. Avendolo ben dissalato, lo tagliava a pezzetti piccoli e lo passava nella farina e poi lo serviva venerdì. Come da precetto.
Io l'ho soprannominato alla triestina perché usava un sacco di paprica piccante e latte, una specie di gulasch. E questo è il mio baccalà alla triestina, da servire con polenta bianca, perché la polenta in Friuli è bianca e non gialla.
Ingredienti per 4 persone
400 gr. di baccalà dissalato
50 gr. di farina bianca 00
1 cipolla
1 spicchio d'aglio
60 gr. di vino bianco (pinot grigio)
1/2 litro di latte
30 gr. di olio extravergine
20 gr. di paprica piccante
50 gr. di salsa di pomodoro
Tagliare il baccalà a fette piccole e passarle nella farina. Tagliare la cipolla a fette sottili in una padella antiaderente versare l'olio. Appassire la cipolla con lo spicchio d'aglio a fuoco moderato. Aggiungere la paprica e lasciar cuocere per 5 minuti. Mettere le fette di baccalà, cuocerle da entrambi i lati finchè non hanno raggiunto un bel colore dorato, versare il vino e lasciare evaporare. Aggiungere la salsa di pomodoro e il latte. Cuocere a fuoco molto lento per circa mezzora, se si asciuga troppo si può versare dell'acqua...se lo volete normale con quel gusto buono lì, se lo volete bruciare allora cazzi vostri.
Da servire con la polenta bianca, oppure se volete essere moderni potete colorare la polenta. Il colore che ci sta meglio: nero (la polenta viene colorata con l'inchiostro di seppia, non quello della bic ovvio, ma anche qui fate come vi viene meglio).
Sul baccalà potremmo aprire un capitolo sul merluzzo che diventa stoccafisso oppure baccalà. Ma il capitolo lo si chiude subito perché ormai la pesca al merluzzo si sta estinguendo perché i merluzzi li abbiamo fatto fuori quasi tutti. E capiamo perché il baccalà costa un cifrone al mercato. A me piace e ho scoperto piace a tutti quelli che amano veramente il pesce. Finiamola con il povero tonno sushi e sashimi, in crosta di sesamo e in tartare con la fragolina, che anche Cappuccetto Rosso sa non esser di bosco, lo vedo scritto su tutti i menù. Mo' sto vecchia e queste modernità mi sono venute a noia e basta un po'.

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febbraio 07, 2006

hasta la victoria siempre


Questa faccia l'abbiamo vista stampata ovunque. Sulle bandiere, sulle magliette, sulle tute, sulle biciclette. Questa faccia l'abbiamo molto amata. Era una bella faccia. Di lui però io avevo visto quel breve documentario morto ammazzato appoggiato su un tavolo mentre i contadini boliviani sfilavano attorno in lenta processione. Insomma l'avevano messo lì per farlo vedere che sì l'avevano ucciso, che sì era finalmente morto. E mi era sembrato il Cristo del Mantegna ma di adesso, mica del quattrocento.
Ora rivedo questa faccia e altre foto inedite e continuo a pensare che sì ha proprio una bella faccia. Un bel naso e uno sguardo attento.
Chissà quanto l'hanno torturato prima di ammazzarlo. Perché credo proprio che l'abbiamo ben pestato prima di ucciderlo. Ma lo sguardo è il suo e sa cosa bene cosa gli succederà. Non credo che abbia pietito. Il Che di certo non ha implorato. Stava combattendo. Il Che lo sapeva. Mica di finire sulle bandiere, sulle magliette, sulle tute e sulle biciclette. Lo sapeva che sarebbe morto. Lì. Quasi subito.

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febbraio 01, 2006

Sumochef: quarta puntata


Momenti di perplessità si alternano a momenti di sconforto e a momenti di allegria. Ormai sumochef ha mollato la spugna e ogni volta che entro in ufficio la mattina per conferire, si alza in piedi, mi accompagna in cucina, in sala, rompe le palle a tutti e incredibile mi copia tutto e io rido che tanto le idee che passo le ho già dimenticate e ne ho altre migliaia che mi frullano per la capeza. Adesso ha messo il menù a la carte con il mio nome e gli ho detto che non va bene così perché quello è solo in parte mio, ma dice convinto che fa marketing! Momenti di perplessità.
Mi ha messo a servire al buffet perché dice: sei bella (!! ??) e i clienti vengono a frotte. Momenti di perplessità.
Faccio la pasta con la mitica Imperia e va via bene, i sughi vanno, ho insegnato a fare il pesto, non hanno il pestaio, ma ho fatto comprare un vasetto in pietra e un pestino in legno. E stanno come matti a battere il basilico più caro del mondo, tutti felici di pestare, pestare, pestare. Momenti di allegria.
Continuo a fare menù a scrivere ricette, e sumochef è tutto contento, ma a me sembra di lavorare per una casa editrice. Momenti di sconforto.
L`altra sera è arrivato a sorpresa in cucina e mi dice: dove sei stata?
io: davanti al computer a scrivere ricette e mi sto rompendo
lui: fammi da mangiare!
io: mica sono tua moglie!
lui: non rispondere male!
io: chiedilo in modo gentile!
lui si inchina e dice: Giovannasan per favore mi potresti fare da mangiare?
io mi inchino e dico: con molto piacere sensei (maestro, lo chiamo così sempre davanti a tutti, prima tutti lo chiamavano capo, adesso tutti lo chiamano sensei)
Allora ho preparato una mia chicca: rombo ai tre pepi (verde rosso e bianco) con dragoncello in cartoccio al forno per 15 minuti e poi si apre il cartoccio e si versa un po` di olio extravergine del Garda.
Come contorno: valeriana con ananas e aceto balsamico. Sumochef se l'è magnato tutto!! Adesso racconta che il rombo dev`essere cotto così, è sano leggero e gustoso! Momenti di perplessità.
Ma facciamo fronte comune contro il managment che
1) vuole fare budget ma non si spende per avere buoni prodotti, e bisogna stare attenti a tutto, soprattutto al food cost (e mi sembra quasi di stare al mercato nero, l'olio del Garda l'ho portato dall'Italia, in Giappone non c'è)
2) all`endemica mancanza di soldi che pare affliggere il managment poi c`è uno spreco inverosimile per investimenti su non si sa cosa...
Chiedo: ma perché spendono i soldi così sul nulla? Sumochef mi batte sulla spalla e mi dice: bella domanda! non farla a me, falla a loro!
Momento di perplessità alternato a momento di sconforto.

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